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martedì 7 giugno 2011

Cosa nostra Palermo, la mafia nel metrò


Cosa nostra Palermo, la mafia nel metrò
di Umberto Lucentini
 
Incredibile in Sicilia: nonostante tutti i controlli sugli appalti, i clan avevano ottenuti incarichi milionari per il passante ferroviario. La Procura l'ha scoperto «per caso» e ora Ingroia lancia l'allarme: i sistemi di filtro delle imprese non funzionano
Il procuratore aggiunto di Palermo
Antonio Ingroia
 L'ultima prova degli interessi di Cosa nostra nei grandi appalti viene dai lavori per il raddoppio del passante ferroviario di Palermo. Un'opera da 623 milioni di euro assegnata da Rete ferroviaria italiana spa a vari raggruppamenti di impresa dove si era fatto largo Andrea Impastato, 63 anni, imprenditore di Cinisi arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa e già condannato per mafia.
Un boss conclamato che si infiltra nell'appalto del metrò di Palermo: come lo avete scoperto? «Direi quasi per caso, è la verità delle cose...»: Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, a capo del pool che si occupa delle indagini su Cosa nostra, lancia l'allarme sulle falle nei controlli anti-cosche che quest'inchiesta porta alla luce e sottolinea l'importanza dell'appello lanciato da Antonello Montante di Confindustria perché le imprese non si avvicinino alle cosche.

«L'indagine su Impastato trae spunto da uno dei tanti "pizzini" sequestrati nel covo di Bernardo Provenzano, a Corleone, l'11 aprile 2006», ricostruisce Ingroia. «Nel bigliettino datato 11 febbraio 2006 il capomafia di Palermo, Salvatore Lo Piccolo, fa riferimento ad Andrea Impastato, l'imprenditore arrestato. In relazione ai lavori per il raddoppio del passante ferroviario di Palermo, Lo Piccolo chiede a Provenzano se vuole segnalargli imprenditori a lui vicini per associarsi a Impastato e fornire il calcestruzzo necessario all'opera. Ecco, l'indagine inizia da qui...».

E come viene sviluppata?
«Si lavora con le intercettazioni telefoniche e ambientali, si esaminano i documenti sull'appalto. Non ci vuole molto a scoprire che Impastato si era assicurato il monopolio della fornitura del calcestruzzo attraverso società di suoi parenti".

Come è potuto accadere? Cosa non ha funzionato nei controlli preventivi?
«Ci sono due versanti su cui riflettere: i controlli di tipo amministrativo e l'attività di difesa da parte degli imprenditori in relazione alle pressioni mafiose. E' risultato che la prefettura aveva segnalato e inserito nell'elenco delle imprese non ammesse ai lavori pubblici le aziende di Impastato e alcune società a lui riferibili. Ma la facilità con cui Impastato ha utilizzato altre società per entrare nell'affare fa capire che qualcosa non ha funzionato".

In che modo sono avvenute queste pressioni?
«Ci sono indagini in corso, non posso dire nulla».

E sulla scarsa vigilanza da parte degli imprenditori privati, cosa dice procuratore Ingroia? «Nell'appalto erano coinvolti due grossi gruppi imprenditoriali: uno di Madrid e uno di Torino, quindi non sospettabili di infiltrazioni mafiose. Eppure le due aziende hanno ceduto alla pressione mafiosa di Impastato concedendo questa sorta di monopolio sulla fornitura di materie prime. Mi sembra che sia un dato molto indicativo della permeabilità del sistema degli appalti e dei controlli della pubblica amministrazione. Ma anche sulla tenuta del sistema economico privato davanti alle organizzazioni criminali».

Quando hanno accertato questa partnership mascherata, gli imprenditori sapevano di avere a che fare con un imprenditore mafioso?
«A nostro parere sì. Ci sono intercettazioni secondo noi chiare se questo punto, anche se è giusto ricordare che siamo in fase di verifica e di approfondimento. Ora, non sappiamo ancora se queste condotte siano penalmente rilevanti ma sono sicuramente il sintomo di un atteggiamento di convivenza e predisposizione a convivere con il sistema mafioso da parte di un operatore economico legale. Una cosa che preoccupa e dimostra quanto sia difficile e in salita l'importante battaglia di alcune punte avanzate di Confindustria contro quel mondo imprenditoriale che si avvicina alla mafia».

Insomma, imprenditori collusi o vittime?
«Direi che forse appartengono a un terzo genere. Non sono totalmente attivi nei rapporti con Cosa nostra in modo tale da poter essere sottoposti a ipotesi di reato né sono vittime nel senso ampio del termine: pensavano di poter trarre un beneficio da questa vicinanza ma si sbagliavano».
 
Sul sito dell'Espresso proprio Antonello Montante, delegato per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio di Confindustria nazionale, in una lettera aperta ha spiegato perché non conviene avvicinarsi alle mafie. Ma c'è chi ancora oggi fatica a capirlo, soprattutto fuori dalla Sicilia...

«Si sceglie la scorciatoia mafiosa senza lungimiranza. L'operatore economico che fino ad un certo punto ha lavorato nel rispetto della legalità e incrocia un operatore legato alla mafia pensa di risolvere il problema cercando un accordo con Cosa nostra. E il problema lo risolve solo sul momento, perché deve avere ben chiaro che non è facile recidere un legame che si è stretto con un mafioso. Anzi, il rapporto diventa stabile perché la mafia chiede sempre di più fino a strozzare la realtà economica sana che si è contagiata dal contatto con la realtà economica illecita del boss. Che finisce per impossessarsi dell'azienda fino a strozzare l'impresa una volta sana».

Come è possibile che un mafioso riesca ad eludere in questo modo le norme di controllo? C'è qualcosa da cambiare?
«E' il secondo caso in pochi giorni in cui la procura di Palermo scopre questo tipo di falle. Non voglio fare accostamenti, ma è successo nel caso dell'indagine sui controlli per le sale delle scommesse e gli uffici del Monopolio. Nel caso delle sale bingo riferibili a Cosa nostra non solo sono mancati i controlli ma c'è stata persino la corruzione di pubblici funzionari a livello siciliano e nazionale. Non sono in grado di individuare o prevedere norme magiche che impediscano questi fenomeni, credo che occorra una maggiore attenzione e vigilanza sui controlli interni, rendere più difficili le infiltrazioni. E prevedere maggiore severità quando si individuano le falle non solo da punto di vista penale ma anche disciplinare e amministrativo».
Chi può intervenire in quest'ottica?«Finora si registrano gli appelli della magistratura più impegnata e della parte più avanzata della nuova Confindustria. Ma sarebbe il caso che ci fosse un impegno concreto e maggiore anche dalla politica. Mi auguro che la Commissione Antimafia possa accendere i suoi riflettori su questo aspetto dell'infiltrazione negli appalti e dei controlli spesso insufficienti».

Un'ultima domanda a proposito dell'inchiesta sull'imprenditore mafioso arrestato per i lavori della metropolitana di Palermo: ci sono rapporti con esponenti della politica?
«A questa domanda non posso rispondere».

http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-bc36d360-aed8-4059-8cb9-93d501f43ffc.html 

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