Il Professore : ... ... Giova ricordare , peraltro , IL Che Personaggio Il proprietario del bene confiscato , in partiture OCCASIONE delle elezioni sosteneva Amministrativo Il Candidato della lista "Rinascita Isolana " Rosario Rappa .

sabato 9 luglio 2011

Tra Romano e la mafia rapporti consapevoli

Imputazione coatta di concorso in associazione mafiosa per il ministro Romano. Nell’inchiesta anche Guttadauro, a casa sua Messina Denaro chiese la morte di Rostagno

sabato, luglio 9th, 2011

Per Saverio Romano, ministro dell’agricoltura, il gip di Palermo Giuliano Castiglia ha  rifiutato l’archiviazione chiesta dalla Procura e ha imposto l’imputazione coatta di concorso in  associazione mafiosa. Per il Gip è lui l’interfaccia del boss Nino Mandalà. L’inchiesta nasce dalle rivelazioni  del pentito Francesco Campanella che aveva fatto tre nomi eccellenti: Totò Cuffaro, Saverio Romano e il medico Giuseppe Guttadauro. Un intreccio che poi porta ai rapporti con Angelo Siino, ministro degli appalti di Cosa Nostra.
E’ a una svolta dunque la vita politica di Romano? La sua carriera è iniziata alla fine degli anni 80, Ciancimino padre era stato arrestato nel 1984, le file della politica siciliana andavano riorganizzate. Sulla scena di Palermo  si presentarono i nuovi cavalli della Dc, uno per il Comune (Totò Cuffaro), l’altro per la Provincia (Saverio Romano).Uomini di Mattarella, venivano da Raffadali e da Belmonte Mezzagno, di che pasta fossero lo rivelò di lì a poco il più loquace dei due,  Cuffaro, che colse l’occasione della trasmissione antimafia a reti per così dire unificate tra Santoro e Costanzo per inveire in sostanza contro chi ce l’aveva con la mafia.
Ricordando questi intrecci si ritorna dunque a quella fine degli anni ’80 in cui venne ucciso Mauro Rostagno e in cui nascevano questi nuovi portaborse politici della mafia. Ma c’è un terzo nome, quello di Guttadauro, che è importante ricordare. Ecco ciò che ne ha scritto poco tempo fa Rino Giacalone, a proposito del delitto di Mauro Rostagno. Non a caso Guttadauro appare strettamente connesso a Cuffaro e Romano. Ha scritto dunque Giacalone:
“Una prima riunione a casa di Filippo Guttadauro, a Castelvetrano. Comincia così il racconto dell’ex ministro dei lavori pubblici della mafia siciliana, Angelo Siino, fatto ministro dal capo del capi Totò Riina, ai magistrati che indagavano nel 1997 sul delitto di Mauro Rostagno. La pista mafiosa, l’ipotesi del delitto del sociologo e giornalista attribuibile alla potente mafia belicina c’era già negli atti risalenti a 14 anni addietro, nove anni dopo l’omicidio.
Cosa dice Siino? Parla di questa riunione a casa Guttadauro e di un «padrino», don Ciccio Messina Denaro parecchio arrabbiato: Puccio Bulgarella, imprenditore ed editore di Rtc, non solo era in «debito» nel pagamento del «pizzo» per alcuni lavori ottenuti in appalto, «la classica messa a posto» spiegò Siino, ma era pure il proprietario dell’emittente televisiva che «ospitava gli interventi di Rostagno. E parlando di questi, Messina Denaro lo coprì di insulti, aggiungendo che un giorno o l’altro avrebbe fatto un brutta fine».
Siino ai pm palermitani Ingroia e Prestipino ha svelato in quel verbale del 1997 che si premurò di informare Bulgarella: «Anche lui si mostrò preoccupato, mi disse che poteva fare ben poco, Rostagno mi disse che era un cane sciolto, difficilmente controllabile, tutto questo avvenne circa tre o quattro mesi prima dell’omicidio». Ma la cosa più clamorosa che emerge dal verbale è la maniera con la quale Cosa nostra diede il via al passaparola sul delitto. Lo fece in casa del mazarese Mariano Agate, a Mazara, nel suo impianto di calcestruzzi. L’ordine fu preciso, «il delitto Rostagno era cosa di corna». E fu quello che in poco tempo si cominciò sentire dire in ogni dove. Anche durante il processo in corso in Corte di Assise.
Le rivelazioni di Siino non si fermano qui. Fanno riferimento anche ad un «soggiorno» a Roma con Bulgarella, la moglie di questi, e con il latitante, all’epoca, Giovanni Brusca. Hotel Carlton la loro residenza in quei giorni. Poi si passeggiava in via Veneto. «In quell’occasione camminando a fianco di Bulgarella – dice Siino – feci cenno al delitto Rostagno, gli stavo dicendo che se mi avesse dato ascolto…ma non feci in tempo a proseguire la frase che lui mi fece intendere di zittirmi, come se la presenza della moglie fosse di troppo». In altra occasione del delitto Rostagno Siino ne tornò a parlare sempre con Puccio Bulgarella: «Eravamo in un ristorante a Palermo, con un giornalista non palermitano, e anche in quella occasione Puccio mi esternò fastidio quasi non ne volesse parlare».
Anche Siino finisce con il parlare dell’ex guru Francesco Cardella: «Con padre Eligio voleva organizzare una speculazione edilizia sull’isola di Formica, doveva fare una comunità di recupero con l’obiettivo di farne anche un residence turistico».

«Tra Romano e la mafia rapporti consapevoli»
”Essendo risultato che il giudice delle indagini preliminari non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Palermo, e che sono previste sue decisione nelle prossime settimane, il capo dello Stato – si legge ancora nella nota – ha espresso riserve sull’ipotesi di nomina dal punto di vista dell’opportunita’ politico-istituzionali”.
 

l gip chiede l’imputazione coatta: processate il ministro

PALERMO — Pensava di aver dribblato l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, dopo la richiesta di archiviazione presentata al gip dalla Procura della Repubblica. Ma per Saverio Romano, ministro in quota «Responsabili» all’Agricoltura, radici a Belmonte Mezzagno, paese sotto esame per possibile inquinamento mafioso e scioglimento del consiglio comunale, non è bastata la richiesta salva-fedina di uno dei più tosti pm di Palermo, Nino Di Matteo.
Perché il giudice per le indagini preliminari Giuliano Castiglia, convinto che si debba comunque andare a giudizio e che un processo bisognerà farlo, ha obbligato la stessa Procura a formulare la cosiddetta «imputazione coatta» entro 20 giorni. Una mossa a sorpresa che segna a fuoco la prima volta di Romano da ministro e conferma i dubbi manifestati dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando si vide presentare questo signore arrivato dalla Sicilia con un pesante procedimento ancora aperto. Non se ne farà niente, si metterà tutto a posto, assicurava lui agli amici e ai potenti che plaudivano il suo sostegno a Berlusconi. Fiero di avere indovinato la direzione delle indagini, dopo la richiesta di Di Matteo. Adesso sconvolto. Anzi, «addolorato e sconcertato» , come si lamenta parlando di «corto circuito tra le istituzioni e dentro le istituzioni: con questo provvedimento vengono anche messe in discussione le conclusioni alle quali dopo lunghissimi approfondimenti era pervenuta la Procura di Palermo...» . Ma il gip picchia duro: «per Romano non si può parlare solo di contiguità con Cosa Nostra perché dagli elementi acquisti risulta una sua perdurante, consapevole e interessata apertura verso componenti di primaria importanza dell’organizzazione mafiosa» . È una botta dura che arriva per una indagine avviata nel 2005 anche sull’ex presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, oggi detenuto, e sul medico-boss Giuseppe Guttadauro.
È il filone partito dalle rivelazioni di Francesco Campanella, un pentito interno al mondo della politica, l'ex ministro Mastella e lo stesso Cuffaro suoi testimoni di nozze, pur ignari che brigasse con la cricca del paese di Villabate, lo stesso dove si stampava la falsa carta di identità per l’allora latitante Bernardo Provenzano. Brutta storia legata al padrino di quell’area, Nino Mandalà, indicato da Campanella come l’interfaccia di Romano. Ma siamo nell’ambito di accuse non riscontrate.
Anzi, lo stesso Mandalà, loquace su un suo blog, ha clamorosamente smentito tutto: «Io Romano non lo conosco e non l'ho mai visto ed è inammissibile che su un rapporto mai esistito se non nella fantasia del signor Campanella si costruiscano accuse così gravi...» . Sarà forse anche per questo che era partita la richiesta di archiviazione, peraltro formulata dallo stesso ufficio che registra le bordate anti-Romano di un altro discusso teste, Massimo Ciancimino, per presunte tangenti legate alla società Gas intestata ad alcuni prestanome per conto del padre, «don Vito» . Di qui una indagine per corruzione aggravata dall’avere agevolato Cosa Nostra.
La seconda macchia per il ministro al quale tanti, come Italo Bocchino, chiedono le dimissioni. Puntuali smentite anche su questa materia non sono bastate a Romano per scrollarsi di dosso comunque chiacchiere, critiche e contestazioni nei giorni in cui conquistava al ministero la stessa poltrona occupata vent’anni fa dal suo maestro, Calogero Mannino. Un forte e devoto rapporto sfarinatosi proprio negli ultimi mesi. Con Mannino esterrefatto: «Saverio ha perso la bussola. Siamo usciti dall’Udc non per entrare nel Pdl» . Amarezze in «famiglia» .
Con Mannino, assolto in Cassazione dopo 17 anni di calvario, deciso a non infierire contro quel giovane giunto giovanissimo dal suo paese, proprio come fece negli anni Ottanta Cuffaro, approdando a Palermo da Raffadali: «Arrivarono ancora ragazzini. Totò con la stoffa del capotribù, Saverio sempre dietro, da "applicato", volenteroso, sollecito...» . Ma fu duro il rimprovero quando chiesero voti a Angelo Siino, ignari che si trattasse del ministro degli appalti di Cosa Nostra e oggi, pure lui pentito, lanciato contro il primo pupillo finito a Rebibbia e contro il secondo, incerto sulla poltrona che a Napolitano non sembrò ben affidata.

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